A LIGHT SO DIM
Provo a tornare nel pozzo lungo il quale mi sono calata negli ultimi cinque giorni. Intorno a me nè buio nè luce, ma una penombra nella quale scorrono immagini forti, parlanti. In esse non c'è nè esasperazione nè contenimento, nè cupezza nè gioiosità: nulla è classificabile univocamente, perché tutto è sogno, visione, demoni, fantasia, mistero. Quelle fotografie sono eterne perché provocano altre domande invece di fornire risposte. E' una dimensione senza geografia nè orologi, dove e quando ogni rappresentazione è possibile e i concetti di definizione e giudizio non trovano ragione d'essere. Si tratta semmai di richiami, bisbigli, echi scomposti, guizzi improvvisi del nostro essere profondo.
A light so dim è stato l'accompagnamento musicale dello slideshow finale, che come lo scorso anno è stato un momento di grande emozione e coesione del gruppo. Surprised by the unpredictable era il titolo del workshop di Anders Petersen e devo dire che ha mantenuto ben più di quanto promesso. Di seguito alcuni dei miei appunti, che lascio così come li ho presi per far sì che rimanga intatto nella mia mente il suono della voce chiara e squillante di Anders, come in un film in lingua originale.
Photography is not about answers but about questions. And even when you find answers you have to question those answers.
Photography is not about being nice: photography is cutting. You have to be sharp like a razor blade. Be horrible, in a human way. Be stupid. Leave obviousness and go for emotion in an animalistic, primitive way. You have to photograph like a dog, be on your knees. Be a thief of what surrounds you, get rid of safety, sharpen your pyramid and get to the acme where the tension is. And act.
Don't complicate things, keep it simple and straight. Don't think.
Be very strong or even very weak. Be naive, be afraid. Put in your pictures your longings, your dreams and nightmares.
Keep a close distance when taking pictures: teach yourself to be inside and outside things at the same time.
Tear down, destroy and re-build beauty. Don't be seduced by the beauty of a woman or man. The spectator shouldn't be invited by beauty, but by the magic, by your demons.
Be cruel, true to yourself, honest to the world. Go down in the dirt to find the vitamins there. You just have to trust yourself and something extraordinary will happen. You have to understand you are unique.
ANDERS PETERSEN
Ha sessantasei anni, è svedese e parla inglese con un accento un po' duro. Quando analizza le foto ha una serie di formule tutte sue, che noi abbiamo imparato rapidamente e che inevitabilmente ora fanno parte anche del nostro vocabolario quotidiano. I suoi movimenti sono insoliti, è come se fosse in una costante torsione, il suo corpo si tende e si piega continuamente, ai limiti del grottesco. Le sue espressioni facciali sono uno spettacolo, le sue esclamazioni indimenticabili. Ogni volta che qualcosa in una foto lo colpisce è come se all'improvviso scoprisse qualcosa che non aveva mai conosciuto prima: si lascia sorprendere e con istinto fulmineo capisce se una foto funzioni oppure no.
Tutti noi ci siamo affezionati moltissimo a lui, era un po' come uno zio. Piuttosto che separarcene ci saremmo attaccati chi a un polpaccio chi a un braccio... Ha uno sguardo penetrante: mentre parla - ma anche quando è in silenzio - i suoi occhi esercitano un magnetismo irresistibile. La sua capacità di osservare e la sua sensibilità sono fuori dal comune. E' estremamente aperto, ascolta moltissimo, sa calarsi nelle storie e accogliere la visione altrui pur rimanendo sempre coerente con se stesso. E' una delle persone più autenticamente "di pancia" che abbia mai incontrato. Gli voglio bene e lui lo sa.
LA CLASSE
Quest'anno eravamo in tredici, un numero decisamente alto per un workshop di questo tipo, in cui si va molto in profondità nel lavoro individuale. Sette uomini e sei donne; sette italiani e sei stranieri provenienti da Turchia, Estonia, Brasile, Norvegia. Età dai 17 ai 50 anni. Un gruppo quindi eterogeneo ma straordinariamente coeso. Marco C. e Marco O. li conoscevo già bene, mentre dei nuovi ho legato in modo particolare con Sara, architetto di Roma che tra l'altro abita a due passi da me e con la quale potrò continuare a vedermi. Anche con Valeria, coetanea di Milano, ho trovato una bella sintonia e c'incontreremo sicuramente ancora.
Ecco la foto di gruppo che abbiamo scattato l'ultimo giorno, mentre teniamo in mano dei cartelli con scritte tutte le frasi che Anders usava per commentare i lavori (cliccare per ingrandire).
Oltre ai compagni di corso, voglio qui parlare anche dell'assistente del nostro gruppo, Mika. Essendo sempre presa dal lavoro, non abbiamo avuto modo di parlare moltissimo, ma ci sono bastati pochi gesti e parole per capirci. Con lei è nato uno di quegli amori che non si possono spiegare perchè non hanno una ragione precisa. A volte nella vita gli incontri più speciali nascono quasi dal nulla, grazie a un'intuizione improvvisa. Avremmo voluto fare il ritratto per il mio progetto dei Musi, ma non abbiamo avuto il tempo materiale e la tranquillità che meritava. A settembre tornerà a vivere a New York, dove fa da assistente a un fotografo, ma prima di allora ci rivedremo sicuramente per le foto e molto altro. Mi dispiace non poterla frequentare facilmente, ma per me è già bellissimo averla conosciuta. Eccoci, prima della partenza.
THE FEVER
Durante i primi due giorni Anders ha letto i nostri portfoli con grande attenzione, ascoltando la nostra presentazione. Ho mostrato alcuni miei più recenti lavori, nei quali mi ritrovo di più, raccontando il mio rapporto con i soggetti o come fossero nate le foto. Mi ha fatto le debite critiche, e alla fine mi ha detto questo.
You have the fever. Not many people have that kind of fever, that vibration you have in telling stories and feelings through images. People actually train to have that fever, without reaching it. You have talent.
FAKE PLASTIC TREES - WITHIN #4
All'ora del tramonto di venerdì, prima della proiezione, ho scattato il terzo Within: Marco. La musica scelta da lui è un pezzo dei Radiohead, Fake plastic trees. La location era splendida, una specie di rimessa degli attrezzi da giardino con un lato a tutta vetrata. Ho fatto sedere il mio soggetto per terra, appoggiato a delle assi di legno. Questo ritratto non è stato semplice, perchè conosco Marco abbastanza bene e so che questo è un periodo piuttosto difficile per lui, per svariate ragioni. L'avevo già fotografato un paio di sere prima, ma questo caso era molto diverso, almeno per me. Essendo un fotografo professionista, conosce molto bene le dinamiche del ritratto ed è stato come se lui fosse in un certo senso sempre dietro all'obiettivo con me, invece che davanti ad esso. La luce era fantastica, la location anche, la musica era la sua, io c'ero al 100%... ma non sono certa che l'esperimento sia riuscito. Voglio dire, le foto ci sono, non ho alcun dubbio, anche se non le ho ancora portate a sviluppare. E credo che siano anche belle. Però non sono sicura che ci fosse pienamente lui e, di conseguenza, il noi che cerco in questo progetto. Vedremo tra qualche giorno. Ho smaltito le sensazioni di questo ritratto standomene da sola per un po' nel grande giardino del monastero, finchè non è sceso il sole dietro le colline alla mia destra.
ANDERS E JULIA - WITHIN #3
Per tutta la settimana è stata a Cortona anche la fidanzata di Anders, Julia, una svedese con il viso da giapponese. Ricorda lontanamente Bjork, come tipo. Erano bellissimi da vedere insieme. Il primo giorno ho chiesto ad Anders di posare per il mio progetto Within. L'idea - che peraltro molti di voi ancora non conoscono - gli è piaciuta molto e ha acconsentito. Ho voluto aspettare la tranquillità dell'ultima sera, anche per poter mettere in pratica gli insegnamenti della settimana. E così, dopo la proiezione finale e il brindisi di rito, si è reso disponibile per le foto. Inaspettatamente si è unita a noi due anche Julia e a quel punto ho realizzato che il ritratto one-to-one sarebbe diventato one-to-two. Ho scelto la semplicità di un muro all'interno della grande sala della proiezione - se c'è una pecca enorme in quell'edificio è la qualità indecente dell'illuminazione artificiale, quasi del tutto al neon - e ho portato con me il Mac per la musica e la macchina analogica con le pellicole. Qualche ora prima avevo chiesto ad Anders che musica gli piacesse e mi ha risposto "I love listening to cello". Qualcuno di voi saprà del mio amore per il violoncello, ragion per cui il mio iTunes ne era discretamente fornito. Avevo quindi selezionato alcuni brani abbastanza vivaci, che secondo me potevano ben adattarsi a lui, e come unico pezzo lento ho inserito Il cigno di Saint Saens, nella versione suonata dal celebre violoncellista Yo-Yo Ma. Appena ho capito che li avrei ritratti insieme, non ho avuto dubbi e ho fatto partire proprio quella musica. L'acustica della sala era tale per cui la scarsa potenza delle casse del mio Mac venisse in realtà enormemente amplificata. Immaginate quindi questa grande sala, con una luce abbastanza fioca e uniforme, due sedie contro il muro, il silenzio di rito da me imposto durante gli scatti, questa musica stupenda e davanti a me Anders e Julia. Otto minuti per una trentina di scatti in tutto. Lui ascoltava ad occhi chiusi, e la sola cosa che ha detto è stata "This is really a beautiful music. What you are doing is very difficult, my friend. Very difficult to picture this". Julia guardava un po' in basso e un po' me, per poi alzare timidamente lo sguardo su di lui, che la cingeva con il braccio. Ricordo con precisione uno scatto, che potrebbe essere quello che sceglierò per il progetto, in cui mi sono spostata di fianco a lei in modo da avere sulla stessa linea anche Anders. Stavo fotografando la mano di lui sul braccio di lei, quando d'un tratto lui ha guardato in macchina. In quell'istante brevissimo ho spostato il fuoco su di lui e ho scattato. Sono tornata in posizione frontale e ho fatto qualche altra foto, lasciandomi il trentaseiesimo fotogramma libero. La sessione a due era finita e lei si era alzata, ma lui era rimasto ancora un istante seduto per finire di ascoltare la musica. Mi sono quindi avvicinata mentre stavamo ringraziandoci reciprocamente e ho alzato di nuovo la macchina per quell'ultimo scatto. Lui mi stava già guardando e avrei potuto premere il pulsante dell'otturatore, ma ho voluto osare e mettere in pratica uno dei consigli che ci ha dato in settimana: provare, a un certo punto, a fare o far fare qualcosa d'insolito al soggetto. Qualcosa di inaspettato, che induca in lui una reazione. Senza staccare la macchina dal viso ho allungato una mano verso di lui, che l'ha presa e stretta nella sua. A quel punto ho scattato. Mi ha detto "Take care", entrambi mi hanno ringraziato e chiesto di mandargli poi le foto. Ho chiuso la porta della grande sala, mi sono lasciata cadere sulla sedia con ancora la musica che andava e ho pianto a lungo. Lo faccio ancora ogni volta che la sento.