Ho il frigo quasi vuoto, ma sempre birra per chi viene.
Non mangio quasi mai da sola. Cucino come non ho mai fatto.
Non so nemmeno dove siano i supermercati, in questa parte di Milano.
Uscirò a cercarli,
ah quindi qui c'è il panettiere, qui le poste, qui un calzolaio.
"Isola" è un nome di fatto. Il ponte di Via Farini scavalca la ferrovia come se fosse un fiume d'acciaio.
Ogni volta che lo attraverso di sera guardo i grattacieli illuminati del Centro Direzionale.
La Milano che avanza, quella da bere che beve in tanti modi diversi.
La Milano che cresce, che vuole diventare, che aspira.
La Milano che chissà cosa farà da grande, e intanto i suoi abitanti invecchiano e si preoccupano.
Si ribellano al corso delle cose che li limitano, cercano di far perdere le proprie tracce.
Sotto i passi, sulla pelle. Rivendicano identità sbiadite.
E' strano ora per me, anche se sono vicinissima a tutto quello che so di prima.
E' tutta questione di calibrare le distanze, di variarne gl'interstizi con leggeri colpi sui fili.
Il tempo ha confini diversi, adesso. E' dilatato, non scandito.
Il mio condominio sembra
Melrose Place, tranne che non è un puttanaio.
Tutti ingressi indipendenti, e qua davanti sembra una piccola piazza privata.
Tavolini all'esterno, angoli discreti. Qualche voce, portacenere, piccoli scorci.
Coppie giovani con figli nell'età più rumorosa. Gente da loft.
Salutano sempre quando passano. Dicono
ciao, mai
buongiorno o
buonasera.
Mi chiedo se sentano la musica che metto. Magari la odiano.
Dormo tardi come sempre, ma prima di chiudere gli occhi ne ho vissute tre, di serate.
E
come dormo. C'è qualcosa in quest'aria che rende il sonno profondo come quello di un bambino.
Sembra di stare in montagna, ma c'è qualcosa in più. Una tenerezza, nella notte.
Morfeo abita in questa casa, fa sentire il suo abbraccio.
La luce delicata della sera disegna le pareti con incroci di ombre.
Sembra che tutto possa succedere, qua dentro. Le ore scorrono fluide, non c'è necessità.
All'Isola si sta come sono io.