che bruciava le ginocchia
le porte smaltate col vetro smerigliato
le sagome indefinite
il buio dell'uomo nero
la lucina della notte
il fazzoletto da succhiare
ma solo agli angoli che è più dolce
lo striscione bordeaux del barone rosso
no l'acqua in faccia no
i miei in bagno che parlavano sempre
la cucina bianca
il mio posto a tavola sempre stretto
la bilancia Berkel d'acciaio
con i tondini che giravano alla base
no che la starate!
la cena con il pane inzuppato
nel latte col Nesquik
io a dieci anni con il walkman bianco
della Irradio con l'equalizzatore
sotto le coperte scoprivo la musica leggera
con le cuffie fino a tardi
è tardissimo dormite sono le dieci meno venticinque
che non fai prima a dire sono le nove e mezza
e fino ad allora in sala
sui divani marrone chiaro
così anni ottanta
di quel tessuto che mi dava fastidio
Widor e l'organo che mi terrorizzava
e Prokofiev e Pierino e il Lupo
con Eduardo De Filippo che narrava
poi facevo gli incubi
chiamavo la mamma
no, è tutto finito, era solo un sogno
ma non ricordo mai di mio padre
che faceva la notte e i cesarei
che non sapevo neanche cosa fossero i cesarei
la sua voce non fa parte di quella casa
lui parlava con la musica
tutta la musica classica che conosco
e che ascolto ancora oggi
è la voce di mio padre
e se ora te la faccio sentire
su questo divano
tu forse non sai
quanto fa parte di me
quanto mi è nel sangue
e invece l'hai capito.
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