Oggi è morta Carla Fracci. Per me, non solo una che faceva la ballerina, ma una sorta di istituzione. Da bambina, il primo mestiere che ho detto di voler fare era la ballerina. E la Fracci era un'icona non solo italiana ma anche mondiale. Ricordo anche Margot Fonteyn, era l'epoca di Nureyev, Barisnikov e tutti questi grandi nomi.
Iniziai a studiare danza classica a nove anni, al Cairo, con una ex etoile del Bolshoi che si chiamava Madame Fatma. Egiziana, ovviamente. Capelli corvini, occhi scuri disegnati da due tratti di matita nera e la bocca un po' sempre serrata e in osservazione. Era un po' in carne ormai, e allora teneva sempre su quei pantaloni sintetici che facevano sudare. Io non capivo. Non la vedevo grassa e mi dispiaceva che si fissasse così severamente sul suo corpo. A me sembrava bella come quando si guarda una mamma. Ricordo che durante il Ramadan non mangiava e non beveva, con delle temperature spesso infernali. E allora ogni tanto andava in bagno e sciacquava la bocca con un po' d'acqua fresca, senza deglutire. Le madri sedevano in un angolo su delle sedie, guardando le figlie di ogni nazionalità che si cimentavano in tutti quei passi dai nomi francesi, che ancora oggi ricordo perfettamente. Eravamo in due ad essere più brave, l'altra era una ragazza inglese con bellissimi capelli lunghi, rossi e ondulati, e tante lentiggini. Si chiamava Iman. Era un po' stronza, anche. Molto competitiva. Iniziai ad andare sulle punte dopo meno di due anni di scuola, cosa che in genere non avviene così presto. Ricordo persino il motivo musicale al pianoforte con cui iniziava sempre la lezione. Alla sbarra, con i pliée. Madame Fatma mi voleva molto bene, aveva con me una sorta di dolcezza segreta che le altre non vedevano nemmeno con il binocolo.
Era molto bello andare a danza, era il primo dei diversi ambiti in cui poi riuscii nella vita, e probabilmente mi piacque fin da subito il fatto di sentirmi sicura delle mie capacità, e di saper imparare in fretta. Cosa che alcuni anni dopo, quando ne presi coscienza, mi portò a dire di me stessa che riuscivo in tutto quello in cui mi cimentavo: una bella iniezione di autostima, per un'adolescente. Della danza mi piaceva la concentrazione, il controllo sul corpo, l'armonia, la musicalità, la geometria, l'evoluzione. Non sentivo affatto la fatica, del resto i bambini hanno risorse sovrumane.
L'eredità più importante della danza è stato il portamento. Ora ne ho meno, per via della postura che il mio lavoro non favorisce, però per molti anni il modo in cui tenevo le spalle, in cui appunto portavo la testa, era per me come un filo invisibile che mi sosteneva e che, sentivo chiaramente, mi dava una presenza diversa rispetto alle altre donne.
La danza è un mondo. E oggi è morta Carla Fracci, una che per me era immortale. Non che si sia portata via qualcosa, ma anche se era decisamente di un'altra generazione, io la considero una dei "miei". E quando se ne va uno dei miei, mi sento sempre come se qualcosa scivolasse via per sempre dalle mani. Non c'è più. E uno dopo l'altro se ne vanno tutti, se ne vanno delle parti della mia storia. Restano solo nel pensiero e non più nelle azioni o nelle opere. (Sospiro).
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