domenica 29 luglio 2012

Interior, by Michael Ackerman

- Photography is about being awaken and fresh. There must be a never-ending surprise, else it's not mysterious enough.
- It's not the content of an image to make it personal. It's the need that makes it personal.
- A good picture is something that puts the observer right where it was taken. Nothing else in between.
- Trust yourself to be less loud. Believe that being lighter rather than dramatic could be stronger.
- Trust more life and reality rather than aesthetics and concepts. Concepts always make me suspicious. Sometimes pictures are too much about fulfilling an idea.
- I have to believe a picture to like it. It can be very strong, but if the heart is not in it, it's useless.
- Photography is not about projects. You have one only project and it's life. What you like, what you love, what moves you, what obsesses you. Let the pictures teach you what is important for you and what is not.
- You may meet people several times before taking a portrait of them. You could need to know from experience what you were blind to.
- An image can be something drunk in by the camera. Open the shutter and let the image in.

(Michael Ackerman)


Una settimana di workshop in Toscana al TPW, con lui e altre nove persone provenienti da mezzo mondo.
Michael è una persona strana, e probabilmente il meno adatto all'insegnamento canonico tra tutti i fotografi che ho conosciuto. Non si palesa mai prima di pranzo. Non gli piace essere fotografato, né tantomeno rivedersi. Parla lentamente, intervallando le frasi con un modo di respirare tutto suo. Come se avesse bisogno di riprendere fiato mentre pensa a quello che dice.
Con lui si è trattato più di una lettura fra le righe, tra i gesti, gli sguardi. La prima cosa che mi ha colpito di lui sono stati gli occhi. Sono come coltelli, assorbono e rimandano la luce in un modo che raramente ho visto in vita mia. Solo incontrandolo ho capito come abbia potuto scattare certe foto.
A dispetto di quanto si possa pensare guardando i suoi lavori, non è un impavido. Nel pericolo ci si mette per oscura necessità. Un privilegio silenzioso quello dell'ascoltare i suoi racconti. Foto sulle quali ho lavorato d'immaginazione per anni diventavano, con le sue parole, intere storie di vita.
L'ho ritratto al volo l'ultimo giorno, appena prima di lasciare il palazzo del Municipio di San Quirico d'Orcia, dove facevamo lezione.



L'ultimo giorno tutti avevano un'aria leggera, intenti a preparare lo slideshow finale o a godersi un pomeriggio di relax dopo la settimana impegnativa del workshop.
A me scoppiava la testa dal male, la pastiglia ferma all'altezza dell'esofago, impegnato come sempre a rallentarne la corsa verso effetti benefici. Non mi veniva di stare nella stessa stanza con Michael, nè di ridere e divertirmi. Perché non trovavo proprio niente di leggero in quello che mi attraversava la mente da qualche giorno. Non avevo mai staccato del tutto con il pensiero delle trappole che mi erano state tese nella vita fuori da quel bozzolo incerto. Il veleno altrui aveva continuato ad infiltrarsi in me come fa la pioggia in certe case vecchie, punteggiando di muffa i muri bianchi.
Mi sono immersa nel workshop in maniera discontinua, disturbata, abortita, tarpata, per diversi motivi. Ho scattato con l'impressione di rimanere ferma allo stesso punto, sempre più profondamente solcato. Mi sono sentita persa, senza una direzione precisa. 
Guardavo le mie belle, giuste e probabilmente inutili foto, e mi veniva da pensare che dovessero rimanere nella cantina della mia persona, come se non valessero altro se non lo spazio e il tempo di un piatto di nouvelle cuisine. Sapete no, con quelle loro presentazioni pretenziose e perfette, colorate come serve, ma ingenerose, viventi solo per il breve momento in cui si consumano. Che durano lo spazio di un passo, o il tempo necessario a pronunciarne l'intenzione.
Non so se avessi ragione oppure se a ricoprirmi fosse solo un manto di dubbio e negatività. Se fossi soltanto stanca di me stessa.
Ne pubblico qualcuna, a conclusione di un racconto forse ancora da vivere.

Marco, al corso con me, amico da anni e mio alter ego al maschile.








Diego, assistente, voce ampia di confronto.



Valeria, modella rubata all'altro corso, delicata e intensa.







Diane, compagna di corso americana, donna meravigliosa. Coraggiosa, animata da un'energia disarmante.


 




Infine io, in un autoritratto fra i diversi che mi sono fatta. L'unico che reputo vero.


lunedì 16 luglio 2012

Colpi di.

Il peso di tutto un anno abbassa le mie spalle ogni giorno di qualche centimetro. Accade sempre, in questo periodo in cui serve quell'introvabile ultimo colpo di reni.
Non è su questo tavolo in ufficio, su questa sedia, e nemmeno sulla stessa accoppiata nella mia casa, davanti a pixel più gradevoli. Non è nelle facce che mi circondano qui, imposte e indifferenti. Non è in questa città e negli anni che le ho dato. Non è nelle delusioni che sono rotolate nella mia direzione come manciate di biglie annerite dal mio entusiasmo. Non è in un silenzio che si fa sentire. E nemmeno nell'attesa perpetua che proietta i desideri su un muro di gomma. Non sta nel terremoto imminente dell'incontro con Ackerman, nè nei chilometri che mi separano dalle riflessioni che ne seguiranno. Non si trova nemmeno nella coscienza pulita. E non è certo nello specchiarsi nei dolori altrui, che raffreddano il corpo nel contatto come correnti improvvise sotto la superficie dell'acqua.
Sta invece nel brevissimo istante di uno sguardo che sostiene pur seduto e timidamente affranto, o nella voce di una canzone fatta esplodere nell'aria solo perchè tu ne possa sorridere. Nelle parole giuste e dure di chi ti vuole bene e capisce il tuo valore. E' nel pregustare quel posto senza pretese, fatto di acqua e luci e sole e verde e ricordi a venire. Nei tuoi genitori che si addormentano alla fine di una giornata, la loro, e che vorresti non finisse mai. Nel non sentirsi soli a cercare il cambiamento che verrà. Nel profumo che ci si sente addosso da una vita e nel piacere di regalarlo a qualcuno, per un attimo infinito.
Nello scrivere queste parole pensando sottovoce a ognuno di voi, a loro e alle tante me. Che a colpi di reni, e di remi, avanziamo senza mai essere d'avanzo.