martedì 22 ottobre 2013

Il grigio


Di queste mattine milanesi
che iniziano sempre a un'ora diversa
quello che resta uguale
è la luce in sordina,
il grigio medio indeciso.
Guardi il cielo e ti chiedi
quando il giorno inizierà veramente.
E invece è già tutto lì,
il ragazzo è sveglio ma non si applica.
I milanesi devono spingersi da soli,
non c'è traino dal cielo,
e si lamentano senza sapere
esattamente di cosa.
Basterebbe che contemplassero
per qualche minuto il cielo.
Contemplare deriva dal latino cum templum,
e significa con lo spazio del cielo.
Profondità, distanze, mancanze, silenzi,
tutto si percepisce se si sta un po' lì dentro.
Il cielo è una tela piena di messaggi,
e quello di Milano è complice più di ogni altro.
Nel plumbeo peso sopra le teste
manca il contrasto, l'azione,
la lotta che rende le cose
nell'unico modo in cui possono essere.
Il grigio offre un alibi per non avere risposte,
che a volte sembrano buone tutte quante e nessuna.

lunedì 14 ottobre 2013

Blind date - Concerto al buio di Cesare Picco


Colpi di tosse,
di quella nervosa che prende quando bisogna star zitti.
Guardo il teatro dall'alto della balconata laterale
e mentre la luce scende sul pianista sotto di me
il teatro intero viene inghiottito dal buio.
Caverna immane e spaventosa,
formicaio dormiente e ordinato,
tutti rinchiusi in piena libertà d'immobilità.
Nero che non perdona, e la musica si fa onda abissale.
Lo sguardo indaga il nulla apparente,
la musica rapisce la coscienza
fin dove decide di condurla.
Un mattone di luce colpisce inatteso alla nuca,
il palco è offerto di nuovo alle corde.
Le formiche ricominciano a tossire,
si accorgono di essere materia.
Possono tornare a rifugiarsi nelle loro ansiose certezze,
partecipi di una verità riscoperta per qualche istante.

Applausi, e Hikari suonata in un modo che non avevi mai fatto.
Grazie Cesare, ancora una volta.

venerdì 4 ottobre 2013

All'Isola

Ho il frigo quasi vuoto, ma sempre birra per chi viene.
Non mangio quasi mai da sola. Cucino come non ho mai fatto.
Non so nemmeno dove siano i supermercati, in questa parte di Milano.
Uscirò a cercarli, ah quindi qui c'è il panettiere, qui le poste, qui un calzolaio.
"Isola" è un nome di fatto. Il ponte di Via Farini scavalca la ferrovia come se fosse un fiume d'acciaio.
Ogni volta che lo attraverso di sera guardo i grattacieli illuminati del Centro Direzionale.
La Milano che avanza, quella da bere che beve in tanti modi diversi.
La Milano che cresce, che vuole diventare, che aspira.
La Milano che chissà cosa farà da grande, e intanto i suoi abitanti invecchiano e si preoccupano.
Si ribellano al corso delle cose che li limitano, cercano di far perdere le proprie tracce.
Sotto i passi, sulla pelle. Rivendicano identità sbiadite.
E' strano ora per me, anche se sono vicinissima a tutto quello che so di prima.
E' tutta questione di calibrare le distanze, di variarne gl'interstizi con leggeri colpi sui fili.
Il tempo ha confini diversi, adesso. E' dilatato, non scandito.
Il mio condominio sembra Melrose Place, tranne che non è un puttanaio.
Tutti ingressi indipendenti, e qua davanti sembra una piccola piazza privata.
Tavolini all'esterno, angoli discreti. Qualche voce, portacenere, piccoli scorci.
Coppie giovani con figli nell'età più rumorosa. Gente da loft.
Salutano sempre quando passano. Dicono ciao, mai buongiorno o buonasera.
Mi chiedo se sentano la musica che metto. Magari la odiano.
Dormo tardi come sempre, ma prima di chiudere gli occhi ne ho vissute tre, di serate.
E come dormo. C'è qualcosa in quest'aria che rende il sonno profondo come quello di un bambino.
Sembra di stare in montagna, ma c'è qualcosa in più. Una tenerezza, nella notte.
Morfeo abita in questa casa, fa sentire il suo abbraccio.
La luce delicata della sera disegna le pareti con incroci di ombre.
Sembra che tutto possa succedere, qua dentro. Le ore scorrono fluide, non c'è necessità.
All'Isola si sta come sono io.

martedì 1 ottobre 2013

A domani

C'è un soffitto che mi aspetta, a qualche chilometro da qui.
L'ho guardato oggi, per la prima volta veramente.
Ho visto una faccina nella trave di legno sopra ai miei occhi.
Un sorriso congelato in un nodo dipinto di bianco.
Stava facendo buio, la luce al piano di sopra spenta.
Arrivava, calda, quella da giù.
Vedevo fuori, attraverso la grande finestra sopra la porta, ma non stavo proprio guardando.
Ero sdraiata, e sapeva di bucato fresco.
Una casa comincia a esistere solo nel momento in cui metti le lenzuola al suo letto.
Prima è porto di mare, terra di tutti e di nessuno.
Me ne stavo lì, dopo una giornata passata ad assegnare un nuovo posto alle mie cose.
Quello dove le ritroverò ogni giorno, con gesti abitudinari.
Non c'era immaginazione di futuro, piuttosto un sapore di passato già assaggiato.
Come l'avessi conosciuta da sempre, quella luce, quell'atmosfera.
In quel momento ho capito che ci sarei stata bene.
In quel momento ho deciso che la notte seguente l'avrei dormita lì, e poi tutte le altre.
Nonostante il casino e il mio mondo ancora per aria.
Ché mischiare le carte, i libri, i vestiti, le lampade, le spezie, gli asciugamani, i contenitori e i contenuti
è sempre una buona cosa.
Le prime volte ci sono ancora, ci sono sempre.
A domani.