mercoledì 28 marzo 2012

Blind date #2

La prima volta non si scorda mai, ma in musica si chiede sempre il bis. Dopo Roma, ascolto di nuovo Cesare Picco suonare al buio completo, stavolta a Firenze.

Per quella mezz'ora di totale oscurità ho di nuovo gli occhi spalancati. Senza altri contorni che mi distraggano, posso vedere le linee delle mie suggestioni. Il pensiero finalmente tace, anestetizzato dalla musica.
Siamo tutti qui, ma è come se non ci fosse nessuno. Cesare parla con ognuno di noi, moltitudine e individui simultaneamente. Non c'è tempo nè luogo, non ci sono corpi nè materia. Le corde risuonano dentro e fuori, liquefacendo il sentire.
Lentamente si riaccendono le luci sul palco. Le sagome del pianoforte e di chi lo sta facendo vivere emergono come una stampa a bagno nello sviluppo. Ora ho una fotografia di Firenze che nessuno ha mai visto.
Cose che accadono al buio.

mercoledì 21 marzo 2012

Il tempo del granchio

Vi conosco, siete troppo pigri per cliccare su un link, quindi riporto tutto il contenuto direttamente qui. Dal blog di Roberto Cotroneo.

Troviamo un nuovo tempo. Per un buon tempo futuro…
[Da Roberto Cotroneo, Se una mattina d'estate un bambino. Lettera a mio figlio sull'amore per i libri, Frassinelli, Milano 2008]

(…) Così Francesco, c’è un tempo per stare nelle fucine, battere il ferro e un tempo per mettere le ali ai piedi. Il bello è che i due tempi talvolta coincidono quasi, coesistono persino. Molti pensano che la creatività e la fantasia siano soltanto svolazzare come Mercurio con le ali ai piedi. Una cosa frivola, “sempre meglio che lavorare”, come ha detto qualcuno. Altri pensano, e a scuola succede molto spesso, che la fantasia sia il frutto delle fatiche di Vulcano, sia generata da quel dio claudicante, un dio minore, perché non è il titolare di nessuno dei sette pianeti del cielo degli antichi. E pensano alla fantasia, all’atto creativo in modo punitivo, senza leggerezza. Creare è quasi soccombere alla fatica rischiando di non farcela, perdendosi. E dunque la creatività come autodistruzione. Il lavoro creativo come disperazione, come sofferenza.

Ma quella che Calvino chiama intermittenza è un’altra cosa ancora. Non è il giusto mezzo (la gente parla sempre di giusto mezzo, come fosse un’unità di misura, un aspetto corretto del vivere) tra concretezza e leggerezza. Non è così banale, Francesco. Lui dice che il tempo della creazione vuole uno squilibrio tra questi momenti. L’intuizione istantanea e poi il lavoro di lima, l’aggiustare di continuo le cose che scrivi fino a che non senti che quello che stai facendo è giusto. Ma Calvino dice una cosa ancora, la fa capire: la rapidità non è un modo della velocità: è solo il risultato immediato di un processo lento e oscuro. Capire le cose velocemente è un modo della lentezza, di una lentezza che non appare.

Sai come finisce la sua conferenza Calvino? Con una storia esemplare, una storia che riprendo sempre ogni volta che qualcuno mi chiede cosa sia mai scrivere. «Ho cominciato questa conferenza raccontando una storia, lasciatemi finire con un’altra storia. E’ una storia cinese. Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c’era l’abilità nel disegno. Il re gli chiese il disegno di un granchio. Chuang-Tzu disse che aveva bisogno di cinque anni di tempo e d’una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era cominciato. “Ho bisogno di altri cinque anni” disse Chuang-Tzu. Il re glieli accordò. Allo scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto granchio che si fosse mai visto».

La storia di Chuang-Tzu mi ha colpito in un modo straordinario, Francesco. E quando te l’ho raccontata la prima volta mi hai guardato come se ti avessi riferito di una magia. Ti veniva da ridere, non sapevi se crederci oppure no. Eppure ci devi credere, perché la fantasia e la creatività sono delle magie dell’esistenza che un mondo là fuori cerca di sottrarci il più possibile. Il re di Chuang-Tzu è un bravo re, Francesco, perché accorda altri cinque anni al suo grande disegnatore. E cosa fa Chuang-Tzu? Fa come Vulcano e Mercurio, per dieci anni vive dentro di sé la fucina di Vulcano, rielabora continuamente quel granchio, senza mai disegnarlo. Forse arriva persino a sognarlo, e anche più di una volta. Ma solo alla fine finisce per disegnarlo, con un gesto soltanto.

Quel gesto vale dieci anni. Il tempo, Francesco, ti continuano a richiamare sul tempo. Sul tempo che ci metti a fare un esercizio, a rispondere a una domanda, ti continuano a chiedere conto del tuo tempo, del tempo che non si può mai perdere, ti diranno la famosa frase che il tempo è denaro. E poi che il denaro è potere. E il potere poi chissà cos’è. Viviamo in un mondo dominato dagli orologi. Non si portano più soltanto al polso, non appaiono severi solamente sulle pensiline delle stazioni ferroviare. Ora sono sugli schermi dei computer, sono sui telefonini, si vedono, a cristalli luminosi anche di notte, in cima alle torri, ai palazzi, nelle piazze italiane. La gente continua a chiedersi che ora sia, anche quando non ha un appuntamento, anche quando non deve salire su un aereo. Tutto deve essere fatto e prodotto in poco tempo, si inventano macchine che servono a fare delle cose più velocemente di una volta. Perché la velocità, la rapidità è un modo per guadagnare di più, è ricchezza. Ma anche svuotamento. Il tempo che risparmi è un tempo bruciato, cancellato dall’ansia della rapidità. Chuang-Tzu avrebbe potuto disegnare tre granchi per il re. Ma nessuno dei tre sarebbe stato perfetto, nessuno dei tre avrebbe reso felice il sovrano. La natura ha i suoi tempi. Anche la fantasia ha i suoi tempi, la creatività. Che non sono i tempi del potere e del denaro.

domenica 18 marzo 2012

Aritmetica dell'arte

Moltiplicarsi è divertente, aggiungere inebriante, (con)dividere necessario e sottrarre difficilissimo.
Gli artisti, per fare cose sempre migliori, devono concentrarsi sull'ultima operazione. Per questo poi compensano esagerando nelle altre tre.

martedì 13 marzo 2012

Eclissata

L'eclissi è un allineamento di pianeti che, visto dalla Terra, comporta oscurità.
Se però ultimamente la mia luce si vede per meno tempo non è perchè mi sono spenta, ma perchè sto sul lato della Luna esposto al Sole, e mi godo il calore dei suoi raggi.

domenica 4 marzo 2012

Inchiostro di fotoni

Ci sono fondamentalmente due modi per cucinare la carne: la lunga cottura a fuoco lento dell'arrosto, aromatico e compatto, e la scottata rapida della bistecca, sanguinante e burrosa. Personalmente sono più per la seconda, sia in cucina sia, in senso figurato, nella vita. E infatti ho scelto la formula della bistecca anche per quella che è un po' una tappa immancabile per ogni fotografo: la stampa in camera oscura. Non avendo tempo e possibilità di dedicarmi a un corso di sei mesi, ho colto al volo l'opportunità di un workshop di due giorni tenuto da Samantha Marenzi, fotografa e stampatrice di esperienza ventennale.

Racconto la cosa già stasera, dopo sole quattro ore passate in sua compagnia, con davanti altre otto che mi vedranno domani di nuovo in quella stanza buia, illuminata solo dalla luce rossa alla quale gli occhi pian piano si abituano. Nella camera oscura tutto rallenta, lo scorrere dei secondi scandisce ogni operazione, in contrasto con la frenesia del mondo esterno. E' un microcosmo silenzioso, dove avvengono magie e tu ne sei lo stregone. Mai come in quella dimensione la fotografia esprime appieno il suo significato etimologico di scrittura con la luce, che passa attraverso il negativo portandone con sè la memoria e proiettandola sulla carta. E in quello spazio di mezzo, quei pochi centimetri che separano l'obiettivo dal supporto sottostante, tu puoi entrare fisicamente, a dire di nuovo la tua su quella storia raccontata in un momento precedente. L'ingranditore si spegne, immergi il foglio bianco nello sviluppo e in pochi secondi ecco la foto rivelarsi, proprio sotto i tuoi occhi.

Ho voluto che la mia prima stampa fosse un ritratto di Within al quale sono particolarmente legata. Il provino iniziale era una striscia che percorreva la foto nel mezzo, orizzontalmente, dove avrebbe raccolto il maggior numero d'informazioni sulla gamma tonale di quell'immagine. Ho visto gli occhi del mio soggetto letteralmente aprirsi dal biancore della carta e diventare scuri, insieme alla pelle del viso e lo sfondo nero che sembrava inghiottirlo. E' stato come rivivere il momento dello scatto. Nella stampa completa ho mantenuto lo stesso tempo, chiuso il diaframma di uno stop e mascherato per pochi secondi l'occhio più in ombra. E' bellissima. E' la mia storia di quel giorno, ora scritta nero su bianco con inchiostro di fotoni.