lunedì 17 febbraio 2014

Sì, viaggiare

Alea iacta est.
Biglietti presi, vado in Sud America.
Anzi, andiamo. Perché con ogni probabilità non sarebbe bastato il desiderio di vedere il Salar de Uyuni per condurmi da sola nel cuore della Bolivia, zaino in spalla. Ho un fondamentale compagno per quest'avventura, e non potrebbe andarmi meglio perché oltre ad essere un viaggiatore navigato è anche lui un racconta-storie. Tra l'altro mi ha proposto un reportage a quattro mani che mi ha subito entusiasmato e che spero si riesca a organizzare - non che abbia dubbi, sarebbe capace di trovare contatti anche in Antartide.
All'inizio ero un po' in pensiero per i possibili rischi e la logistica, ma più mi abituo all'idea e si avvicina la partenza, più mi lascio andare. Atterreremo in Perù e scenderemo in Bolivia fino all'altopiano di Uyuni, per poi tornare verso nord.
Per me è il primo vero viaggio che non sia una vacanza. Niente resort, alberghi confortevoli e mezzi di trasporto privati: una cosa on the road, guida alla mano, equipaggiamento minimo, libera da prenotazioni intermedie e muovendosi in pullman. Nulla di frenetico, sarà un'esperienza immersiva, andando in esplorazione di luoghi, persone e situazioni fuori dall'ordinario. Mi prenderò il tempo per scrivere presumibilmente ogni giorno e ho idea che tutto mi sarà d'ispirazione, sia a livello di esperienza di vita che per il materiale di lavoro.
Il senso di anticipazione per questo viaggio è molto forte, mi sto documentando e preparando tra vaccinazioni, attrezzatura e fondamenti di spagnolo. Anche se sono cosciente che tutto, una volta là, sarà completamente diverso da qualsiasi immaginazione.
Per ora vi lascio con una foto del deserto di sale che per primo mi ha attratto verso quelle mete: il foglio bianco tutto da scrivere che riflette senza ostacoli ogni cosa intorno a sé, disperdendo confini e riferimenti.

Salar de Uyuni, Bolivia

sabato 8 febbraio 2014

Giardino di Levante, 319

La gente, ha scritto una volta William Paradoxal, dovrebbe pensare alla morte, sempre.
Io invece alla morte non ci penso mai. La temo per gli altri, non per me, ma solo perché sono egoista. Un attimo sei vivo e quello dopo sei morto, perché avere paura di una cosa di cui nemmeno sarai cosciente.
Invece ho paura della violenza. Del panico indotto da una minaccia. Dell'odore del sangue. Della rottura. Del peso delle cose che restano senza chi le usi più. Di vedere quella casa buia sempre più spenta. Di restare sola e senza rete. Di non avere mia madre che mi rammenda un maglione con quelle cuciture invisibili. Di non avere mio padre che s'ingegna a riparare o costruire qualsiasi cosa. Questo loro aggiustare le cose, risolvere, riparare, sapere cosa fare. Servire con autorità i propri figli, finché poi i ruoli non si ribaltano. E così quando il genitore si rompe, allora sei tu, figlio, a doverlo riparare. Non nel senso di aggiustare ma di proteggere. Dalla sofferenza, dalla malattia, dalla discesa della vita. Amare è riparare.
Qualche tempo fa ero a casa dei miei, si prendeva il tè. Papà era andato al Monumentale, questioni burocratiche. Riesumazione delle ceneri dei miei avi, per far posto ad altri morti delle attuali generazioni nella stessa tomba. Accorciamento dell'epigrafe esistente, per i nomi dei nuovi arrivati. Sennò non ci stanno tutti, fa mia madre. Lo diceva con quella tranquillità di chi ha già elaborato i suoi lutti fondamentali, come in una rassegnazione orfana. Io la guardavo con un distacco scettico, un po' ridevo anche. Cosa devi fare quando ti dicono una cosa del genere. Verranno sepolti al Giardino di Levante, tomba n. 319. Insieme ad altri parenti, sono andati a prenotare il loro ultimo indirizzo. Come se si fossero presentati alla morte in persona, le avessero stretto la mano e poi arrivederci a chissà quando, prima o poi. Oh, ci becchiamo eh.
Quello che mi stranisce è che anche la morte è piena di cose pratiche. Ti devi prenotare la tomba da vivo, e poi quando arriva il momento ci sono i certificati di morte, le pompe funebri: di che legno si vuole la bara, che fiori metterci sopra. Rose rosse, rose bianche, un misto di tutto? Se ne escono con certi cataloghi ad anelli, le foto inserite in camicie di plastica, e tu che non sai cosa rispondere.
Io della morte di mio nonno, l'unica che ho vissuto di persona, ricordo soprattutto due cose: l'inaspettata rigidità delle mani quando gliele ho strette qualche minuto dopo che aveva esalato l'ultimo respiro, e il rumore delle viti che chiudevano la bara, udito dalla stanza di fianco. In quel momento capii. Non aveva più bisogno di aria, di luce, di noi. Avvitato alla morte, chiuso dentro, riparato per sempre.
Anche lui sta al Monumentale, vicino a mia nonna. Saremo tutti là, un giorno, al 319? RSVP.

Cimitero Monumentale, Milano - 12 Gennaio 2014

venerdì 7 febbraio 2014

La chiave

Scrivo da quando avevo più o meno dodici anni - buona parte della mia vita. Fino ai ventisei l'ho fatto su delle agende. Le trovavo per casa, chiedevo di prenderle e le riempivo. Un totale di circa 1.500 pagine. Poi comprai il mio primo computer portatile, e iniziai un file chiamato "25 aprile 2005", la sera del mio trasloco a Roma.
Le agende stanno sotto chiave in un armadietto della mia scrivania di legno, a casa dei miei. Chiave che era nascosta nella fenditura di una scatola da domino in un armadietto a due ante nella parte bassa della libreria, a sua volta chiuso a chiave. Quest'ultima stava tra penne e matite dentro a una massiccia tazza di ceramica color ghiaccio sporco, in un angolo protetto più in alto. Ogni volta che scrivevo mi facevo tutto il percorso, naturalmente dopo essermi assicurata che nessuno mi avrebbe disturbato in quei pochi secondi. Sì, ho sempre preso la mia privacy come una faccenda piuttosto seria. Mia madre aveva letto qualche pagina del mio primo diario, e questo fu il trauma che mi indusse a blindare il mio privato negli anni a venire.
Quando mi trasferii a Roma, per non correre rischi, la chiave della scrivania venne con me. La custodii per tre anni in una borsina di pelle scamosciata color ocra, che in origine proteggeva una bottiglia di rum marca Pampero Aniversario. La tenevo in un armadio, sul ripiano in mezzo ai cappelli. Nel successivo trasloco, persi di vista la chiave. Per quei cinque anni pensai che non avrei più potuto rileggere le mie privatissime agende. Un po' m'importava e un po' no.
Facendo gli scatoloni per il trasloco a Milano, ritrovai quella chiave. Non stava più nella borsina di pelle, non ricordo dove l'avessi messa, ma il momento in cui saltò fuori fu surreale. E' una chiave antica di ottone, di quelle un po' decorate con i riccioletti. Quando la presi in mano la guardai come una cugina lontana. Aveva un peso specifico enorme, e ai miei occhi, forse anche per quella sua forma così particolare, sembrava essere dotata di un'energia spaventosa.
Da quando sono tornata a vivere a Milano, non mi sono ancora mai ricordata di andare a casa dei miei a prendere le famose agende, e rischio di dimenticare un'altra volta dove abbia messo la chiave. Non che ritenga quelle agende del materiale particolarmente valido, ma, insomma, era quello che era: la linea dei miei pensieri da quando avevo iniziato a tracciarla con una certa coscienza.
Rileggendo i brani dai file sul computer, le parole mi arrivano con una violenza inaudita. Esprimono un disagio atroce, un tale senso di angoscia dal quale solo adesso sono in grado di sentirmi a distanza di sicurezza. Quando penso al mio ultimo anno romano, lo ricordo come il più difficile della mia vita, quello che mi ha fatto toccare il fondo per poi risalire. Ma quel tracollo è stato il prodotto di ciò che è venuto prima, ed è stato un processo lento e inesorabile. Smarrimento, insensatezza, prigionia, alienazione. Nel rileggermi ho sgranato gli occhi, sgomenta. Perché so che quella persona ero io, e quando riprendo in mano i miei scritti posso ancora sentire, nel profondo, l'eco di quelle emozioni soffocanti.
Non ci andavo leggera, questo è certo. Del resto, che motivo avrei avuto di risparmiarmi? E non lo faccio tutt'ora. Niente come la sincerità che concedo a me stessa nello scrivere quotidianamente è in grado di restituire fino in fondo quello che provo. Il blog in confronto è stato acquetta, così come le mie foto passate. I miei scritti privati invece sono lame. Niente ricercatezze inutili, sostanza pura. La chiave è quella, la verità che apre a tutto quello che sono. La sola che giri nella serratura. Se uno scrittore vuole aprire delle porte, può farlo solo così. Il resto non serve.

lunedì 3 febbraio 2014

Wedding with a star

E' online il mio nuovo sito dedicato alla fotografia di cerimonia. Sinceramente mi ha emozionato rivedere quanto fatto finora in quel campo, e non vedo l'ora di scattare ancora.

Riporto qui la mia visione così come l'ho scritta nel sito.


Non importa il mezzo, quello che conta è la storia. 

Questo è da sempre il principio cui s'ispira la mia produzione. Sono una racconta-storie e lo faccio attraverso immagini e parole, che sono i miei due mondi professionali. Vedo la fotografia come una rappresentazione di relazioni: tra persone, tempi e luoghi. 

Nasco come ritrattista e il mio genere è il reportage. Sono interessata a ciò che lega gli individui e la mia ricerca personale nel campo delle immagini ha sempre riguardato ciò che è intimo all'animo umano. La verità che emerge da uno sguardo o il mistero che vi si cela, la linea sottile del contatto tra fotografo e soggetto, la loro reciproca e impalpabile empatia, la rivelazione nel momento dell'incontro. 

Non vi ripeterò quello che potete trovare in tanti altri siti che promuovono la fotografia di cerimonia. Tutte quelle frasi fatte sull'amore, il giorno più bello, le emozioni, i confetti e l'eternità. Quello è il vostro mondo, unico e personale, e nessuno dovrebbe invaderlo con il marketing. Il mio territorio è invece quello dell'osservazione e del sentire, e lo esploro documentando secondo il mio punto di vista ciò che le persone emanano attraverso i gesti. Vivo il matrimonio come una straordinaria occasione di incontro corale, animata da sentimenti che affiorano forti sui volti come in poche altre occasioni nella vita. 

Se questo mio approccio parla con il vostro, ci sceglieremo a vicenda istintivamente. Come succede tra un uomo e una donna destinati l'uno all'altra.


Potete visitarlo cliccando qui.