martedì 23 agosto 2011

Erwoody

(english translation below) 

Ah, che arroganza scrivere di Elliott Erwitt, non trovate? Sì, perchè al cospetto di costui ci si dovrebbe limitare a raggomitolarsi in un angolo con la propria reflex in grembo e accarezzarla consolandola del fatto che non partorirà mai cotante meraviglie. Questa in effetti è stata più o meno la mia reazione qualche giorno fa, al mio ritorno dalla mostra di Erwitt all'International Center of Photography (ICP) di New York. Più di un centinaio di stampe esposte e altrettanti colpi al cuore. Scegliere una foto (ma pure cinque o sei) da inserire in questo post sarebbe veramente arduo, quindi provo a passare dall'altra parte e metto questa.
 
East Hampton, New York, 1998

E' l'autoritratto che campeggia alla fine del libro "Personal best", che peraltro è anche il nome della mostra. L'ho ripreso in mano per richiamare i sorrisi che le immagini in esso contenute mi hanno strappato quando le ho viste per la prima volta dal vero. Grandi, materiche, oltremodo parlanti. Guardando questa foto, seppur ricca di elementi distraenti, ciò che mi sono ritrovata a fissare erano quegli occhi dietro alle lenti. Viene da chiedersi quale magia sia ad essi sottesa, perchè è proprio da lì che è passato tutto quello che egli ha prodotto - dico "passato" perchè le immagini in realtà nascono ben al di sotto di quell'altezza. La fotografia è l'arte di osservare - dice Erwitt. Si tratta di trovare qualcosa d'interessante in un posto ordinario... ho capito che non è questione di cosa si vede ma di come lo si vede. Ecco, quelli qua sopra sono gli occhi con cui vedeva lui il mondo. Si legge nell'introduzione del libro: Erwitt captava situazioni della condizione umana che sapevano evocare tutto, dai sorrisi sardonici alle sghignazzate sincere. Quanti me ne sono usciti alla mostra, una volta terminata la visione della quale mi sono seduta al piano superiore, al grande tavolo bianco dove erano consultabili le cinque raccolte delle sue immagini edite da TeNeues. Prendendomi il mio tempo, ho letto le prefazioni e guardato tutte le fotografie, soffermandomi ogni tanto per trascrivere qualche nota, che riporto.

Michele Serra, ne "Le fotografie di Erwitt": Erwitt riesce a dare l'impressione di essere perfettamente cosciente della violenza irreparabile di ogni scatto. E che in forza di questa coscienza cerca di usare la sua arma con sorprendente delicatezza. Se dovessi essere fucilato, vorrei che fosse Erwitt a comandare il plotone di esecuzione. 

Adam Gopnik, in "Erwitt a Parigi": Il tratto distintivo di Erwitt è l'humour, l'arguzia: non ritrae il momento decisivo, ma quello di felice scoperta. Un istante in cui due cose che sembrano non avere nulla in comune si trovano improvvisamente insieme in una fotografia che diventa silenziosa esplosione.

Ora, due frasi che per qualche motivo mi hanno preso letteralmente all'amo. La prima è dello stesso Erwitt, che descrive i suoi soggetti come persone che stanno andando altrove, con i loro sogni ben serrati dentro. Non solo la trovo una caratterizzazione di grande attualità, ma la sento anche molto mia. Sarei un buon soggetto per zio Elliott! 
La seconda è sempre di Michele Serra ed è una sorta di ponte verso la seconda parte del post, che vi renderà chiaro anche il titolo dello stesso. Più bella è una fotografia, più grande è la nostalgia della vita che essa provoca. Il nuovo film di Woody Allen, Midnight in Paris, è una splendida rappresentazione della nostalgia della vita. Non voglio certo rovinarvi la sorpresa - mi pare che il film esca in Italia a dicembre - ma lasciare per lo meno una sorta di riflessione-teaser. Avrei sempre desiderato vivere negli anni '30, un po' come il protagonista del film, che trova la chiave di lettura alle sue insoddisfazioni presenti in un percorso di (potenzialmente infinita) rincorsa a ritroso delle diverse "epoche d'oro" di Parigi, muovendosi in uno stato di continua tensione all'interno delle illusioni nostalgiche che sono connaturate a ogni epoca della storia dell'arte. Io trovo che la nostalgia, dolce e amara allo stesso tempo, sia uno dei sentimenti più affascinanti che possano essere rappresentati, tanto in una fotografia quanto in un quadro, un film, una poesia, una musica e via dicendo. E' il ricordo di qualcosa che forse non abbiamo nemmeno vissuto, un sogno che desideriamo portare nella realtà ma non completamente. La nostalgia è questo movimento oscillatorio tra le rassicurazioni del presente e le illusioni del passato. Questa foto di Erwitt, per me, è nostalgia della vita.

New York City, 1953

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How arrogant it is to write about Elliott Erwitt... 'Cause in his presence one should only curl up in a corner, fondling his camera in his lap trying to cheer it up for not giving birth to such wonders. in fact more or less my reaction a few days ago when I got out of Erwitt's exhibition at the International Center of Photography (ICP) in New York. More than a hundred prints on display and as many heart attacks. It would be really difficult to choose a photo (or even five or six) to include in this post, so I'll try the other way around and put this one.

giovedì 18 agosto 2011

Non si scappa

Oggi, seduto davanti a un negozio a Soho questo ragazzo parlava con un amico. Gli ho chiesto di fotografarlo. Due scatti per prendere le misure, e poi questo. Dal contatto visivo non si scappa.


martedì 9 agosto 2011

Tuesday in NY

Terzo giorno a NY: diluvio universale. Segregati nel World Financial Center, dopo una lunga attesa e svariate secchiate di acqua dalla testa ai piedi, veniamo tratti in salvo da uno stormo di ombrelli neri. Atterrati a Soho, siamo gentilmente introdotti da Renato D'Agostin nella sua segreta (alias camera oscura) piena di foto da urlo. Il mio desiderio di imparare a stampare raggiunge un picco inedito. Birretta con racconti da pelle d'oca, ovviamente in tema di fotografia. Sfacciatamente richiesto dalla sottoscritta di una copia del suo libro "Tokyo untitled", il D'Agostin vi appone dedica autografata che ha l'indecifrabilità delle ricette mediche di mio padre. A occhio e croce sembra "A Francesca, vaffanculo Renato" ma ho il sospetto di sbagliarmi. Giovane dai colori chiari sia nei capelli che negli occhi, è di una gentilezza genuina e senza fronzoli. Tra le sue parole fa capolino una timidezza composta, accompagnata da una fine consapevolezza di sè. Pur dedicandoci a generi fotografici in parte diversi, il terreno comune è vasto. Un incontro molto interessante, da ripetere sicuramente prima del ritorno in patria. Thumbs up.