martedì 9 ottobre 2012

Le ferite dell'eroe

C'è leggere e leggere.
Uno è semi-passivo ed è quello di chi, tenendo in mano un libro, lo dà quasi per scontato. Atteggiamento che nel gioco delle parti di un corteggiamento appartiene a quelli che ci stanno. Che rispondono a un bacio con un ma sì, perchè no. Che non si rendono conto se chi li ha portati a quel punto abbia il respiro affannoso per l'emozione; se lo scrittore ce l'abbia messa tutta affinchè all'appuntamento con il lettore fosse tutto perfetto. Il libro, pur piacevole che sia, è solo un intrattenimento come un altro. Non ci si dà per primi.
L'altro modo di leggere è attivo, appassionato, interessato. Qui il libro è visto come un'opera complessa, sofferta, curata e amata da chi l'ha scritta. E' esso stesso una persona. E chi riesce a vederlo così si stupisce e resta conquistato proprio come chi, tra i due amanti, è quello che ci prova. Che il bacio lo dà perchè quel gesto è necessità. Non è che vi si possa opporre, è così e basta. Leggere in questo modo significa godere di un'opera, conoscerla, capirne le motivazioni, ascoltare quello che ci vuole dire davvero.
Ora, a prescindere da che parte si stia, in un incontro amoroso il bacio è il metro di tutto il resto. Da esso si capisce se si tratti di un inizio o di un inciampo. E siccome, per come la vedo io, l'incontro con un libro è l'incontro con un persona, quando lo apro provo a sentire come bacia. Da lì capisco come sarà il dopo. Se nella prima pagina c'è almeno una frase che non posso dimenticare, che devo sottolineare, che m'inchioda come uno sguardo a cui non so resistere, allora con quel libro ci provo. Se questo non accade, il più delle volte finisco per non provare nulla, esattamente come in quei rapporti che nascono per noia, proseguono per inerzia e si esauriscono per inconsistenza.

Dunque benissimo se il primo appuntamento con un libro, il suo attacco, va per il meglio. Però devo dire che raramente mi è capitato di sottolineare righe su righe fin dalla prima pagina, ed è accaduto recentemente con il libro di Giovanni Covini, Le ferite dell'eroe, appena pubblicato da Dino Audino Editore. Un testo talmente ricco che non saprei da dove cominciare per parlarne. Analisi dei meccanismi profondi che rendono grandi i personaggi e le storie, si legge appena sotto il titolo. E' senz'altro una buona sintesi, ma non è che la punta dell'iceberg. Perchè l'autore in realtà unisce due mondi: quello delle storie e quello dello spirito, che è il suo ma anche quello di tutti noi. Si pensa di trovarsi davanti a un testo che analizzi la costruzione del personaggio di un romanzo, ma ci ritroviamo invece personaggi noi stessi. E' la stessa cosa, perchè ovviamente le storie siamo noi. Solo che lo siamo più in grande. In un libro o un film, per ragioni di spazio, si prende un pezzo soltanto, e partendo da un certo stato di cose si scopre - attenzione, non s'inventa - come l'eroe superi l'ostacolo, cioè la paura. Paura di cosa? Di tutto quello che ci tiene lontani dalla nostra identità, dal nostro essere pienamente liberi: l'invasione, l'abbandono, la privazione, la vergogna, il tradimento. Ognuna di queste cosiddette ferite viene illustrata da Covini prima in teoria e poi attraverso l'analisi di svariati titoli cinematografici, con una lettura davvero stupefacente dei significati sottesi a ogni dialogo o situazione drammatica.
Quello che però spettina davvero, a mio parere, è il primo capitolo, che andrebbe letto da chiunque si prefigga di occuparsi di una qualsiasi forma di espressione. Perchè ha a che fare con le motivazioni profonde e le valenze della comunicazione. Si legge, nella prima pagina:

Raccontare una storia è qualcosa che desideri dentro e che realizzi fuori di te, tra te e l'altro che ti ascolta o che ti guarda. D'altro canto puoi raccontare solo se l'altro ti ascolta. Tu puoi costruire soltanto la storia: il raccontare è un incontro, un regalo. (...) Spesso sento parlare di autori che raccontano con generosità. Non ne ho mai incontrati. I migliori - quelli bravissimi - sono semplicemente affamati di te che li ascolti. Non vogliono essere lasciati soli nel loro incubo, nella loro ossessione, nel loro sogno.

Questo è solo un piccolo estratto, e non ve ne darò altri per non spoilerare troppo, tanto per rimanere in tema. Ho citato il primo capitolo, ma in realtà ognuno di quelli che seguono fa luce su un pezzetto diverso del mondo interiore che, raccontando, portiamo fuori. E la densità dell'esposizione è davvero notevole.
Accessibile per chiunque, ben scritto e ricco di spunti, il libro di Covini (che stimo anche per il suo bel blog), mi ha passato qualcosa di molto importante. Lo rileggo avanti e indietro anche ora che l'ho finito, e ogni volta ne escono nuove riflessioni.
Un libro che baciava bene fin dall'inizio, e che ha mantenuto la promessa.