sabato 28 dicembre 2013

2013 >> 2014

Saranno trentacinque tra una settimana, i miei. Per gli ultimi tre ho considerato seriamente di tornare a vivere a Milano, ma solo questo è stato decisivo.
Scrivo dalla mia nuova casa, al piano di sopra. Il soffitto a travi dipinte di bianco è a poco più di un metro dalla mia testa, e guardandolo mi accorgo di riconoscere già la sua trama, i nodi del legno e quel chiodo piantato in corrispondenza del centro del letto. Chi ce l'avrà messo, e perché? Ovunque guardi ci sono segni di decisioni prese prima del mio arrivo, e non ci ero più abituata. Eppure mi sembra che questa casa non possa essere stata vissuta che da me. Ci sto da meno di tre mesi, ma è già piena di vita. E' il posto che mi serviva per ricominciare, e per stare dentro di me ho avuto bisogno di stare dentro di lei. Non ho vissuto Milano come mi sarei aspettata - niente è mai come ci si aspetta, bisognerebbe proprio smetterla di aspettarsi le cose. Ho avuto nuova musica, nuove facce, nuova luce, nuove strade. L'azienda per cui lavoravo mi ha dato ancora lavoro, e grazie a questo riesco a dedicare quasi tutto il mio tempo ad altro. Mi sveglio ogni mattina senza sapere cosa farò. Non ho orari. Se la notte ho voglia di scrivere, lo faccio anche oltre le quattro. Vedo molte più notti che mattine.
L'acqua è il mio elemento, nuoto quasi ogni giorno.
Sto portando avanti nuovi progetti. Ho iniziato a scrivere il mio primo romanzo, sono nella fase di ricerca. La trama, sebbene ancora tutta da costruire, ha una struttura per scatole cinesi con infinite possibilità. Mi trovo nella posizione privilegiata di chi ancora non ha ancora tracciato la linea che collega le stelle in costellazioni, e ogni disegno è ancora possibile.
Sto scattando un progetto personale che (r)accoglie le persone che frequentano la mia casa. Ritratti in bianco e nero, pellicola. Una sorta di album di famiglia a mia misura. Immagini che parlano chiaro, fatte in modo molto semplice e immediato, e che credo raccontino bene il mio rapporto con i diversi soggetti. Ho in mente altri due progetti fotografici, uno di ritratto e un altro completamente diverso da quanto ho fatto finora. Vedrò di realizzarli a partire da gennaio. Per ora, le foto di cui sono più soddisfatta sono una serie di ritratti scattati a ottobre, credo tra i più veri che abbia mai fatto. Poi ci sono alcuni autoritratti, e anche quelli sono diversi da prima.
La maggior parte del tempo la impiego studiando libri di autori che mi possano essere utili a tirare fuori il mio sentire. Al momento sono su Salinger, al terzo libro - Nove racconti. Ho già scritto di questo autore per Franny e Zooey, ed è interessante vedere come lo stesso talento sappia declinarsi anche nel breve di una ventina di pagine per ogni racconto.
Ho una vita sociale soddisfacente e ricca di stimoli. Frequento amici di più o meno vecchia data, e tutti sanno stupirmi, ognuno a suo modo. Rido molto e taglio rami secchi. Il lavoro più importante che sto facendo è quello di concentrarmi su quello che voglio io, prima di quello che vogliono gli altri. Non è per niente facile, ma ci provo.
Questo un po' per rispondere a quanti mi chiedono notizie della mia nuova vita, ma anche per ringraziare. Innanzitutto me stessa, per il regalo più prezioso che un essere umano possa farsi: il tempo per se stesso. E parlando di regali, credo che ogni cosa e persona che incontriamo lo sia, nel bene e nel male.
Ringrazio quindi chi si è rifiutato di lasciarmi morire laggiù, aiutandomi a trovare il coraggio per il grande passo. Il percorso fatto con lui resterà, in ogni aspetto, indimenticabile.
Ringrazio colei che, a Roma, ha creduto in me e ha saputo spingermi a usare i miei talenti, pur andando contro il proprio più immediato interesse di capo. La sua energia mi arriva ancora oggi.
Ringrazio l'amico più diverso da me che potessi avere, perché è con lui che ho ritrovato il sorriso che tanto mi era mancato. Nessun giudizio, solo ispirazione.
Ringrazio le mie tre donne: Monica, Diana e Xolani. La vera amicizia prescinde dalle distanze, dai tempi e dalle modalità.
Ringrazio la voce della mia coscienza, nella speranza di dirgli, prima o poi, qualcosa che non sappia.
Ringrazio anche le presenze più discontinue, quelle ritrovate e quelle che partono per ritornare. Sono continue conferme. Ringrazio anche chi è sparito - sono conferme anche quelle.
Non per ultima, ringrazio la mia famiglia, che mi ha supportato in ogni modo nonostante le parziali perplessità. C'è molto da fare e non sarà una passeggiata.

Questo è stato l'anno della svolta, il prossimo sarà quello delle realizzazioni.
Buon anno anche a voi.

venerdì 20 dicembre 2013

Franny e Zooey

Scrivi per piacere a una sola  persona. Se apri la finestra e fai l'amore con il mondo, per così dire, la tua storia si prenderà una polmonite.
Lo scriveva Kurt Vonnegut nel suo Otto consigli per scrivere una grande storia, e l'ho sempre pensato anche io. Voglio dire, non proprio la storia della polmonite eccetera, ma nell'avvicinarmi al foglio bianco ho sempre scritto, più o meno consapevolmente, per una persona specifica. Che fosse reale o parzialmente immaginata non era importante, ma c'era sempre. Il fatto è che quando scrivi hai una voce, e normalmente la usi per farti sentire da qualcuno. Se parli da solo in una stanza si potrebbe pensare che non sei del tutto a posto, anche se io non sono affatto d'accordo. Uno scrittore che non parlasse da solo non si potrebbe dire tale, secondo me. I libri sono le trascrizioni fisiche delle conversazioni che avvengono tra le sue tante voci interiori.
Quanto al destinatario della propria scrittura, non si può dire che lo stesso approccio uno-a-uno valesse anche per J.D. Salinger - almeno negli anni settanta, quando il suo ritiro a vita privat(issim)a a Cornish assunse le caratteristiche di un isolamento quasi totale. Continuava a scrivere regolarmente, ogni mattina, e pare che avesse completato ben due romanzi che però decise di non pubblicare mai. Non pubblicare mi dà una meravigliosa tranquillità… Mi piace scrivere. Amo scrivere. Ma scrivo solo per me stesso e per mio piacere. Egoisticamente parlando, non sono grata a Salinger per essersi tenuto nel cassetto le sue opere più mature, perché nel leggere la sua produzione ho sinceramente ringraziato questo autore per aver scritto dei libri. Per aver concesso a tutti il privilegio di avvicinarsi al talento straordinario che aveva e goderne come davanti a una sublime opera d'arte. Detesto la parola "sublime" quasi quanto "opera d'arte", ma ci siamo capiti.
Quella dei libri di Salinger è in realtà per me una rilettura, perché due fra i suoi romanzi che sto studiando li avevo già letti tanti anni fa. Ho iniziato dalla panna in cima alla coppa, e non poteva che essere Il giovane Holden. Non occorre che ne parli, credo. Voglio dire, tutti l'hanno letto e ne conoscono l'inattaccabile bellezza. Quello che ho appena finito è invece Franny e Zooey, parte della saga sulla famiglia Glass che Salinger scrisse in seguito. Quando l'ho ripreso in mano dalla libreria a casa dei miei, mi sono saltati all'occhio due particolari: che il prezzo era ancora scritto in Lire e che c'era una piccola orecchia verso pagina 140, cioè a una trentina di pagine dalla fine. Quindi non solo non l'avevo finito, ma avevo resistito quasi fino all'ultimo. Perché quest'insensatezza nel fermarmi a trenta senza fare trentuno? In effetti ricordo che ai tempi - parlo più o meno dei miei sedici anni, o almeno credo - non mi entusiasmò molto. E' chiaro, avevo appena letto Holden e volevo il bis. Invece Franny e Zooey era molto diverso, e le mie aspettative adolescenziali erano state in qualche modo disattese. Se dovessi fare un paragone culinario, direi che Il giovane Holden potrebbe essere una lasagna - il grande classico, ricco nell'insieme dei suoi sapori, immancabile su ogni tavola almeno una volta l'anno così come presente in ogni libreria domestica che si rispetti - mentre Franny e Zooey è un sauté di cozze. Quello che ti ci devi mettere con un po' più di buona volontà, insomma. E però il sapore è più raffinato, mangi direttamente dai gusci, e ogni tanto ti colano lungo i lati della bocca i rivoli del guazzetto, come le tante letture tra le righe che emergono, sottili, dalla narrazione. 
Franny e Zooey è un capolavoro di finezza per quanto attiene principalmente a due aspetti: la fotografia e i dialoghi. L'intero libro si compone di sole quattro scene, di cui la prima è una specie di antefatto rispetto alle altre tre. Non c'è praticamente trama, è un libro tutto-personaggi. Parlo di fotografia e non di semplice ambientazione, perché tutto quello che fa parte dell'inquadratura di Salinger in un dato momento non solo descrive ma, di più, esprime la storia in una maniera incredibilmente esaustiva, con pochi ma precisi tratti. Non una parola di troppo, né una di meno. L'autore dissemina il set di particolari come se componesse a ritroso la scena di un crimine non solo immaginato, ma vissuto in prima persona. Nessun movimento è casuale, nessun oggetto è inventato, la ricchezza di particolari mai banali è impressionante. Chi scrive è in qualche modo già stato lì, ha visto o posseduto ogni cosa. Gli spostamenti dei personaggi all'interno della stanza sono misurati nelle loro esitazioni, e ogni azione è al servizio della rivelazione del personaggio che la compie. Le sue immagini sono essenziali, eppure efficacissime.

Zooey s'interruppe. Diede un'occhiata a Franny che giaceva prostrata sul divano con la faccia sul cuscino, e sentì, forse per la prima volta, i suoi singhiozzi d'angoscia solo in parte smorzati. Diventò pallido di colpo: pallido d'ansia per lo stato di Franny e pallido, probabilmente, perché il fallimento aveva d'un tratto invaso la stanza con il suo puzzo sempre nauseante. Il suo pallore, tuttavia, era d'un bianco stranamente puro, non mescolato cioè con le sfumature gialle e verdi della colpa o della contrizione abietta. Ero lo stesso bianco del volto esangue d'un ragazzino che ami gli animali alla follia, tutti gli animali, e che abbia appena visto l'espressione della sua tenera sorellina prediletta, nel momento in cui apriva la scatola del regalo di compleanno che lui le aveva fatto: un giovane cobra appena catturato, con un nastrino rosso intorno al collo goffamente legato a farfalla.

L'invasione genitoriale è la ferita principale che sottende l'intera vicenda, ed è incarnata dalla madre Bessie: questa donna che non capisce, che non vuole sentire - con le orecchie e con il cuore. Che parla per sentito dire, che continua a rimproverare ai figli mali che sono invece conseguenze dei suoi errori, e che vede in una tazza di brodo di pollo la panacea di tutti i mali. Quasi tutto si esprime nella lunga scena che vede lei e il figlio Zooey nella stanza da bagno. Lui tenta in ogni modo di liberarsi di lei, che invece resta nella camera, completamente sorda ai suoi pur risoluti tentativi di allontanarla e recuperare una privacy fisica e mentale. E' un continuo dondolare tra un discorso e l'altro, inframmezzati da silenzi di colla e sigarette che si spengono da sole, abbandonate sulla ceramica. 
I figli sono consci di essere rimasti incastrati nell'immagine che il mondo si è fatto di loro, bambini-prodigio protagonisti di un programma radiofonico - Ecco un bambino eccezionale, titolo che basterebbe da solo a mandarli tutti in analisi per anni. L'educazione anormale provoca in loro turbamento, insofferenza, rabbia, crisi mistiche. I due protagonisti sono tra loro complici e nemici al tempo stesso, in quel particolare e benevolo rapporto di amore-odio che può esistere solo tra fratelli.
Salinger è caustico, pungente, non si risparmia. Critico, certo, ma mai gratuito o distruttivo per il mero gusto di sferrare un colpo ad effetto. Molte sue osservazioni, fatte passare attraverso i dialoghi tra i fratelli Glass, parlano direttamente al lettore, e in maniera sempre sincera e profonda. Il modo in cui fa uscire il suo pensiero da ogni bocca non è mai invadente, ma chiaramente percepibile da chi legge con attenzione. Si nota poi che spesso alcune parole sono scritte in corsivo (o anche solo alcune sillabe), per sottolineare determinate cadenze. Mi sono chiesta come questo fosse stato reso nella lingua originale, e probabilmente nella traduzione se n'è persa un po' l'incisività.

(Franny, ndr) Era ancora più pallida, più postoperatoria, per così dire, di quando s'era svegliata. - Non so come (Lane, ndr) abbia fatto a non spararmi, - riprese. - Se l'avesse fatto, ti assicuro che mi sarei congratulata con lui.
- Questo me l'hai già detto ieri sera. Non voglio reminiscenze stantie, stamane, sorellina, - disse Zooey e riprese a guardare fuori dalla finestra. - Prima di tutto, quando cominci a prendertela con le cose e con la gente invece che con te stessa, sei fuori strada. Lo siamo tutti e due. Anch'io faccio lo stesso con la televisione, me ne rendo conto benissimo. Ma è sbagliato. Siamo noi. Non faccio che ripertelo. Perché sei così testona e non vuoi capirlo?
- Non sono così testona, ma tu continui…
- Siamo noi, - ripetè Zooey, dandole sulla voce. - Siamo degli anormali, ecco cosa siamo. Quei due bastardi ci hanno presi per benino da piccoli e hanno fatto di noi degli anormali con delle idee da anormali, ecco tutto. Siamo come la Donna Tatuata, e non avremo un minuto di pace per il resto della nostra vita finché tutti gli altri non saranno tatuati anche loro -. Si portò il sigaro alle labbra, con qualcosa di più che un'ombra di contrarietà sul volto, e aspirò, ma il sigaro s'era spento. - E soprattutto, - riprese subito, - abbiamo i nostri complessi del "Bambino Eccezionale". Non siamo mai usciti veramente da quella dannata radio. Nessuno di noi. Noi non parliamo, dissertiamo. Non conversiamo, diamo spiegazioni. Almeno, io faccio così. Nell'istante in cui mi trovo in una stanza con qualcuno che abbia orecchie in numero normale, mi trasformo in un veggente o in uno spillo umano. Il Principe dei Rompiscatole. Ieri sera, per esempio. Giù al San Remo. Ho continuato a pregare che Hess non mi dicesse la trama del nuovo copione. Sapevo benissimo che ne aveva uno. Sapevo benissimo che non sarei uscito di là senza un nuovo copione da portarmi a casa. Ma continuavo a pregare che mi risparmiasse un'anteprima a voce. Lui non è stupido. Sa benissimo che mi è impossibile tenere la bocca chiusa -. Zooey si girò di scatto, con violenza, senza togliere il piede dal davanzale della finestra, e raccolse, agguantò anzi, un pacchetto di fiammiferi dallo scrittoio della madre. Tornò a guardare fuori dalla finestra il tetto della scuola, e si rimise il sigaro tra le labbra, ma solo per toglierlo di nuovo. - Comunque, vada al diavolo, - disse. - E' così stupido che ti spezza il cuore. E' come tutti gli altri della televisione. E di Hollywood. E di Broadway. Secondo lui tutto ciò che è sentimentale è tenero, tutto quel che è brutale è realistico, e tutto quel che si risolve in violenza fisica è il culmine logico di qualcosa che non è nemmeno…
- Gli hai detto tutto questo?
- Certo che gliel'ho detto! Ho appena finito di dirti che non so tener la bocca chiusa. Certo che gliel'ho detto! L'ho lasciato là seduto a desiderare d'esser morto. O almeno che uno di noi due fosse morto. Accidenti, spero che si trattasse di me. Comunque è stata un'uscita dalla comune degna del San Remo -. Zooey tolse il piede dal davanzale. Si girò con un'aria tesa e insieme agitata, spostò la sedia a schienale rigido da sotto e si chinò in avanti irrequieto, con tutte e due le braccia sul piano di ciliegio. Vicino al calamaio, c'era un oggetto che sua madre usava come fermacarte: una piccola sfera di cristallo sopra una base di plastica nera, con dentro un omino di neve col cilindro in testa. Zooey lo prese, gli diede una scossa e rimase a guardare il turbinio dei fiocchi di neve. 
Franny lo guardava, riparandosi gli occhi con una mano. Zooey era seduto proprio al centro del più grosso fascio di luce che entrava nella stanza. Per continuare a vederlo bene, lei avrebbe potuto spostarsi sul divano, ma così avrebbe disturbato Bloomberg (il gatto, ndr), che le stava in grembo e sembrava dormisse. 
- Hai davvero l'ulcera? - gli chiese tutt'a un tratto. - Mamma dice che hai l'ulcera.
- Sì, ho l'ulcera, santo Dio! Siamo ai tempi di Kaliyuga, sorellina: Età del Ferro. Chiunque abbia più di sedici anni e non abbia l'ulcera è una maledetta spia -. Scrollò ancora, con maggior vigore, l'omino di neve.

Il rischio di un romanzo strutturato come questo, con lunghi, claustrofobici e vorticosi dialoghi, potrebbe essere quello di una narrazione pesante. Eppure Salinger pare possedere sempre il contrappeso perfetto per mantenere la bilancia in equilibrio. Conosce il bilanciamento tra pieni e vuoti, e gestisce il ritmo della narrazione in maniera magistrale. Carica, spara e poi si ferma per far scendere il polverone. Poi riprende la guerra portandoti in un altro campo di battaglia, magari dando una boccata al sigaro tra un affondo e l'altro.
Franny e Zooey è uno di quei libri che aprono la testa a uno che si prefigge di scrivere. E' un po' come una stampa di Ansel Adams: se la guardi da una distanza normale, ti piace senza che tu sappia esattamente perché, ma se fai lo sforzo di avvicinarti riesci a vedere ogni particolare, e capisci da dove venga tanta bellezza.

martedì 10 dicembre 2013

On white

Primo set di autoritratti della mia vita milanese.

La serie completa è sul mio nuovo Tumblr, Shanghai Unconscious

D'ora in avanti le mie immagini saranno pubblicate lì, mentre qui continuerò a scrivere. Stay tuned :)