lunedì 7 marzo 2011

Interiors

Sono per i post brevi, ultimamente. E' tardi e devo riposare, se non voglio che questa settimana finisca (di nuovo) in un bagno di sangue. Però voglio ricordarmelo il giorno in cui ho rivisto Interiors di W. Allen. E' un film che ha press'a poco la mia età, e proprio ora che ho trentadue anni lo guardo e lo ascolto provando con esso una profonda affinità. Un contributo dello stesso regista, per chi di voi non avesse presente di cosa tratti.


Una delle cose che mi hanno colpito di più è la totale assenza di musica durante tutta la pellicola. Nemmeno sui titoli. Il solo rumore è quello del mare agitato e grigio. Quanto sentite sono le vicende umane delle protagoniste, quanto vere e ricorrenti esse possono essere nella vita di ognuno di noi. Il bisogno di controllare ogni cosa diventa nevrosi. Le conflittualità, le invidie, le frustrazioni, i sensi di colpa, i meccanismi che portano ad auto-punirsi e ad autocommiserarsi. Non ho mai pensato a come possano sentirsi le persone come Joey, incapace di esprimere quello che sente, né in grado di riconoscerlo. Ci sono un paio di passaggi molto intensi in cui lei parla proprio di questo e del modo in cui sente le emozioni esploderle dentro senza saperle esternare. E poi c'è Renata, interpretata da una fantastica Diane Keaton, che, è vero, sarà sempre uguale a se stessa ma qui la trovo particolarmente nella parte. All'inizio, appena dopo il passaggio ripreso nel video, dice: "Il risultato è la mia paralisi creativa". Ecco, io mi ci sono molto ritrovata in questa frase, perché è la situazione che spesso provo stando qui a Roma.
Le atmosfere di questo film, il cui titolo è così incredibilmente adatto e denso di significati, mi sono sembrate terribilmente reali. Pesanti, scolorite, spoglie, lente, imbrogliate l'una sull'altra. Questi interni che cercano di uscire allo scoperto con rabbia, senza mai riuscirci appieno se non provocando spaccature, ferimenti, tragedie. Non è cinema: è vita intima, interiore.

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