martedì 19 marzo 2013

The shirt

Ha orecchie grandi e carnose, che ti chiedi a cosa servano fatte in quel modo. Le mani sono forti, le dita lunghe, i palmi capaci. Piuttosto alto, ti dà l'idea che sia uno di quelli che da ragazzini sono cresciuti di colpo in pochi mesi. Ai piedi porta delle All Star blu, sotto i jeans in movimento s'intravedono calzini bianchi. Occhiali con la montatura nera e basette che colano abbondanti lungo le guance. Si tira i lembi della camicia verso il basso, guardando con aria vagamente infastidita l'orlo della t-shirt scura che porta sotto. Prova a nascondere quei pochi centimetri scoperti, ma niente: la maglietta è troppo lunga, o la camicia troppo corta.
Mette della musica davvero bella. Rappa 50 Cent e fa sorridere da quanto lo fa bene, molleggiandosi un po' sulle gambe mentre tutti fanno inconsapevolmente il movimento della testa del piccione, a tempo con lui.
Lavora un po' in piedi e un po' da seduto, senza riflettori o pannelli. A volte inquadra in macchina, altre scatta senza guardare, esclamando Paparazzi!!! Paparazzi!!! Nessuna ansia in sala, è disponibilissimo. Non si difende, non ha nulla da dimostrare, lavora sodo. E' tutto un fluire leggero, non c'è fatica per la squadra all'opera. Sembriamo un motore perfettamente oliato, eppure non ci siamo mai incontrati prima di oggi. Ascolta un mio consiglio, mi chiama vicino a lui per sistemare lo scatto, che alla fine esce benissimo. Impara il mio nome. Ora di pranzo, prende una sedia e la sistema per me accanto alla sua. Gli racconto qualcosa di me, di altri. Si ride, si scherza, chiunque entri nel suo raggio d'azione viene coinvolto nel gioco. Mai pesante o eccessivo, sempre educato e rispettoso pur nel suo essere birichino. Gli dico che sono una sua fan e - con una certa reticenza - anche una fotografa, e quando portano il tiramisu mi fa una dedica autografata. Propone un'uscita serale alla fine dei lavori, prima di ripartire per l'altro capo del mondo.
Si torna al lavoro, ma qualcosa non va. Capto una richiesta al suo assistente, che esce di scena e rientra dopo una ventina di minuti con un'altra camicia, stavolta blu. Lui si toglie quella che indossa, e mentre abbottona quella blu è proprio soddisfatto. I feel much better now. L'assistente fa una palla della camicia precedente, ma lui se la fa ridare. No, I have to fold it. Libera un tavolo, liscia la tovaglia bianca con le mani e comincia a piegarla con minuzia quasi religiosa. Poi la ripone su una sedia, sopra ad altre cose. Gli occhi di tutti fanno finta di non essere puntati nella stessa direzione. Appunto mentalmente la posizione dell'indumento, perchè quello scatto è già lì che mi aspetta. Prima o poi, quando sarà il momento giusto. Chiedo all'assistente se sia andato fino in albergo solo per quella camicia. It's not just a shirt, mi dice sorridendo. Già. Quando il fotografo passa di nuovo dalle mie parti gli chiedo cosa avesse di sbagliato l'altra camicia. Mi spiega che l'orlo della maglietta non deve mai uscire da sotto la camicia. E che se succede non si sente bene, è come a disagio.
Molte persone potrebbero pensare che sia una follia, eppure io ho capito perfettamente cosa intendesse. Nell'apparente inconsistenza di quei due centimetri di maglietta di fuori sta quello che caratterizza i fotografi che hanno davvero coscienza di quello che stanno facendo. Subito mi torna in mente quello che da più parti ho sentito a proposito dell'abbigliamento di un fotografo quando scatta. Una divisa - e qui si tratta di una vera e propria seconda pelle - che non è solo lo strato che separa il proprio corpo dal mondo esterno. E non è neanche un modo, è addirittura sostanza. Un fotografo sente il proprio vestito come parte di quello che sta facendo. Se non ha addosso la cosa giusta, la foto verrà fuori in tutt'altro modo.
L'ho osservato in questa e in altre cose, per tutto il giorno. E, come sempre avviene quando si è a contatto con i grandi, si aprono molte porticine dentro la testa. Ti si spalancano orizzonti più ampi, e senti il vento trasportarti anche se sei al chiuso.

Verso la fine del pomeriggio, quando siamo all'ultimo scatto, qualcuno solleva la giacca che copriva la camicia sbagliata. E' lì, alle mie spalle, ancora perfettamente piegata. Ruoto sui talloni e velocemente scatto. Sullo sfondo, del tutto casualmente (ma anche no), una bottiglia di champagne e alcuni vecchi rulli di pellicola srotolata. Un'allegoria, un ritratto.

Sometimes a shirt is not just a shirt. It's Terry Richardson.



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