Entra nella stanza, con quel suo passo un po' dinoccolato.
Uh, ma c'è qualcosa qui! Volete farmi lavorare...
Si dirige verso le cassette della posta interna e ne preleva una busta grigia, che finisce in cima alla piccola pila che si porta in braccio.
E' Alberto, il fattorino che ogni giorno passa due-tre volte per le consegne postali. Per lui da anni sono "Francischedda bedda", e anche se non abbiamo mai fatto una vera chiacchierata gli sono affezionata. Non nel modo in cui lo possono essere gli altri, che vedono sempre soltanto il suo fare giullaresco. Io lo guardo nei dettagli che mostra quando appoggia quei panni sullo schienale di una sedia immaginaria.
Come al suo arrivo la mattina, in moto, con la tuta. Poi si mette il vestito e la cravatta, ma si capisce che non gli appartengono. Oppure quando vado al quarto piano ed è il suo turno per sorvegliare l'ingresso. Se ne sta lì seduto, a guardare i monitor e a far scattare la porta con il metal detector. Quando mi intravede attraverso i vetri s'illumina, preparando una battuta di saluto, sempre diversa. Ma quell'espressione un po' dimessa e al contempo dignitosa non mi è sfuggita, ed è tardi per darmi a intendere spensieratezza. In quel volto e nei gesti vedo abnegazione, spirito di sacrificio, amore.
E' un brav'uomo Alberto, e come tanti indossa la maschera più brillante della malinconia. Chissà se da bambino sognava di fare il pilota di aeroplani.
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