martedì 9 aprile 2013

L'esperienza del ritratto

La fotografia è il territorio del desiderio, tanto del fotografo quanto del soggetto. Il ritratto ne è la liberazione, è quel qualcosa che succede quando si è disposti a stabilire un contatto. E' anche un rischio - se non accetti la possibilità di fallire, non puoi riuscire. Lo scopo del ritratto non è il disvelamento del soggetto: poi magari lo fa anche, ma di per sè non pretende di mostrare la persona, quanto la relazione. Quel momento, quell'incontro, quel ritaglio di vita.
Nel workshop "L'esperienza del ritratto", tenuto da Toni Thorimbert presso la Fondazione Fotografia di Modena, si è parlato molto di queste cose.
Il secondo giorno era previsto un set dove ciascun partecipante aveva cinque minuti per scattare un ritratto. Nello specifico, a me. Stare dall'altra parte della lente mi ha aperto quindici mondi diversi. Li ho sentiti fremere, alcuni tremavano come foglie. In certi casi è successo qualcosa di vero, in altri non è successo nulla. Troppa concentrazione sul cosa fare, troppi escamotage, troppa testa. Soprattutto troppe aspettative. Dice Toni: 

Noi sviluppiamo una passione per la fotografia perchè lei non ci dà tutto quello che noi ci aspettiamo da lei. Se ce lo desse ci stuferemmo molto presto, come con un amante che ci ha annoiato, di cui non sappiamo più vedere gli aspetti interessanti e intriganti. E' chiaro che se ho cinque minuti per svelare qualcosa è poco, ma se ho cinque minuti per vivere qualcosa, sono cinque minuti di vita. Cinque minuti non sono nè pochi nè tanti, sono quello che sono. Se tu accetti questo, la tua vita diventa molto ricca, e questi cinque minuti diventano pieni di esperienza. In fondo si tratta di essere molto aperti alla relazione. Se il tuo cuore si apre, qualcosa entrerà. Se il tuo cuore è chiuso, anche in decine di ore non entrerà nulla.

Toni non parla, per così dire, con la testa: i concetti fluiscono perchè appartengono al suo sentire, non al suo ragionare. Porta la sua esperienza, se stesso, ciò che ha capito della vita, delle situazioni, delle persone.
Nella prima sessione di scatti ho avvertito tanta negazione. Di desideri, di libertà. L'autocritica spara sui bersagli sbagliati. Il problema sono i cinque minuti? Allora facciamo un esperimento: ribaltiamo le regole. C'è tutto il tempo che serve, ma un solo colpo in canna. E' quello, e te lo devi giocare bene. I fotografi iniziano a respirare diversamente. A guardarmi davvero. A stabilire una relazione con me, e io con loro. Li cerco, li lascio, torno nei loro occhi. Nella stanza comincia a circolare un'energia diversa, concatenata. Si parla, si tace, si scava. Si scatta solo quando si è pronti, e a fare la foto in sè ci si mette pochissimo tempo. Spesso anche meno dei cinque minuti di prima. Mi accorgo che anche stando dall'altra parte capisco qual è il momento, come se ad avere la macchina in mano fossi io. Non a caso, comincio ad avvertire io stessa la necessità di fotografare. Scatto dei ritratti a mia volta, con l'iPhone. Ne ho voluto uno per ciascuno di loro, in momenti diversi.
Il confronto successivo tra le due immagini realizzate è spiazzante. Le foto "one shot" sono forse meno belle in senso estetico, meno compiacenti delle prime, ma hanno un valore molto maggiore perchè testimoniano che qualcosa è successo: il ritratto ha assunto le sembianze di un momento di relazione e non di una mera rappresentazione esteriore. Sono accadute anche cose strane, imprevedibili. Esattamente come nelle relazioni, dove il risultato non è mai in linea con le aspettative - infatti è sempre in rapporto a queste che si crea il conflitto. Quando si allenta il controllo, la vita ha modo di dire la sua.

Fotografa e soggetto: due ruoli complementari che ho sperimentato a distanza di due anni. E' stato soprattutto stando davanti alla macchina che mi sono resa conto di quanto il fotografo debba lasciarsi andare, smettendo di combattere contro le cose. E' tutto più semplice di quanto s'immagini. Si tratta di vivere, niente di più ma anche niente di meno.

Ora qualche ringraziamento. Inizio con Francesca Lazzarini, coordinatrice del workshop presso la Fondazione, per l'organizzazione resa perfetta dal suo sorriso e da quello di Annalisa, sempre gentile ed entusiasta.
Grazie a tutti i fotografi per il bellissimo clima che hanno creato, per l'energia e la vulnerabilità, per avermi aperto i loro mondi, tutti diversi e misteriosi.
Grazie a Gianluca Guaitoli, eufemisticamente hair stylist. Il suo apporto umano lascia sempre un segno significativo.
Last but not least, ringrazio Toni per avermi regalato l'opportunità di capire tutto questo e molto altro. Ne avevo bisogno e me lo porterò dentro a lungo.

Vi lascio con alcune mie immagini del workshop, a seguire i ritratti individuali dei presenti.
(cliccare per ingrandire)



 



 

  






















3 commenti:

  1. Quei famigerati 5 minuti li ho vissuti io l'anno scorso e sinceramente non mi hanno spaventata (avevo un'altra preoccupazione però), considerato che con la macchina devi fermare qualcosa che succede sempre e solo una volta e di solito succede in molto meno di 5 minuti. Avrei provato volentieri anche la versione 2013 dell'unico scatto.
    Esperienza particolare che mi ha lasciato cose buone.

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  2. Cara Francesca,
    ho gradito le tue parole ma ho DAVVERO GODUTO i ritratti che hai postato.. Grazie per questo piccolo diario per immagini!

    A presto, mArCoB

    PS a 3 giorni dal workshop tanta voglia di scattare.. si vede che mi ha fatto bene :-)

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  3. Anche io come Marco me li sono proprio goduti, in questi ritratti vi ritrovo...io poi ci sono tutta ;)
    Grazie stella!!!

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