Gli incubi di quand'ero piccola, certi me li ricordo perfettamente ancora oggi. Pelle scorticata, ferite, impotenza, paura. Si mischiano con l'oscurità del corridoio, il pavimento con la moquette verde e le tracce di gesso bianco, le porte con il vetro smerigliato, socchiuse. Da lì il buio entra lo stesso, posso solo provare a ignorarlo. Un dettaglio torna alla mente, strizzo gli occhi per chiuderlo fuori ma lui si riaffaccia senza avere pietà della mia richiesta - basta... fammi dormire... non voglio rivedere... non voglio rivivere. E invece è come un pendolo, che va e viene ineluttabilmente. Allora accendo la lucina bianca, ma non posso stare così fino al mattino. Ho sonno, però non voglio tornare ancora lì. Provo a girarmi sull'altro fianco, così per forza si gireranno anche i pensieri. Sul fianco destro c'è l'incubo, sul sinistro va tutto bene. Chiamo la mamma due o tre volte e lei arriva in camicia da notte, con gli occhi piccoli come asole. Ma no stai tranquilla, dormi... è solo un brutto sogno. Mi riaddormento per tuffarmi in un altro sonno confuso, forse ancora contaminato dal precedente.
Ora quando faccio gli incubi sono sola e il mio letto è grande. Lo occupo tutto, sto in mezzo, prepotentemente. Mi è capitato di non riuscire a svegliarmi, sospesa nell'intenzione razionale che prova a spingere una porta dietro la quale si oppone qualcosa di oscuro: un braccio di ferro che toglie il respiro. Quando riprendo coscienza è un sollievo inquieto, una vittoria di Pirro. La notte è persa, non potrò riaddormentarmi facilmente. Devo alzarmi, scrollare il pensiero agitando anche il sangue. Rimango incagliata nelle immagini, nelle suggestioni che si ripropongono. Accendo la lucina rossa e percepisco il domani come una realtà parallela, che con questa qua non può incontrarsi. L'unico modo è richiudere gli occhi, ma rimango sempre un po' vigile. A strattoni, le rette s'incurvano come binari ubriachi che mi portano, in qualche modo, al mattino. Nel sonno spengo la luce rossa e il giorno mi accoglie con quella solare che filtra, puntinata, attraverso la tapparella. Lavarsi, truccarsi, vestirsi, uscire, accendere il motorino e guidare, ripensando a tratti a quel soffocamento che chissà dov'è, chissà perchè.
L'incubo è il punto di non arrivo da cui ritorno senza capire.
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